lunedì 6 giugno 2011

Amen

Nessuno si accontenta di avere accanto un solo essere umano. Abbiamo (avete?) tutti bisogno di amanti, muse ispiratrici, volti affascinanti e amici sempiterni. E ci piace mescolarli e illuderli di avere il primato sulle nostre vite.

That's life, arouangiouei.


Quanto ero figo, tempo fa.

martedì 10 maggio 2011

Demenze

Ho Tumblr, qualche consapevolezza in più e un paio di infradito niente male. Che non mi si venga a dire che non aggiorno le mie creature.

giovedì 3 marzo 2011

Sì, sì, ci voglio andare!

Io non ne posso più della tipa che si tocca le zinne sulle note di Be italian. Anche il pavimento su cui poggia le sue tonicissime chiappe sa che è una strafiga, ma lei imperterrita si ostina a sovrapporre un seno sull'altro.
Mi annoio da morire; ma nessuno potrà esimersi, già dalla mattina di giorno 20 c.m., di chiamarmi Herr Doctor. O si scrive Doktor?
Secondo me Maria Callas era una stronza. Io, una con una voce così, non me la immagino mica buona come una vacca.

Sì, sì, ci voglio andare!
e se l'amassi indarno,
andrei sul Ponte Vecchio,
ma per buttarmi in Arno!


Puccini è decisamente il Lou Reed dei suoi tempi, e non voglio sentire storie.
Periodi fitti di cambiamenti e di rivelazioni, ad ogni modo. O forse no, non c'è stato nulla di così esplosivo o di così modificato. Elementi, sensazioni e tensioni visibili all'occhio umano come i neri capelli di Morgana agli occhi Artù.

Questo post non ha ragione d'essere pubblicato.

domenica 20 febbraio 2011

Arabesque


Darren Aronofsky, dall'ultimo The Wrestler arrivando a questo cigno nero, fa del lavoro sul corpo la meta di un percorso che è primordialmente legato all'esecuzione mentale. Se pellicole come π, Requiem for a Dream, e The Fountain ambivano a sfoggiare una solida astrazione legata a continue sperimentazioni visive, "relegando" la componente narrativa a mediatrice strutturale, opere come le ultime due realizzate, invece, mostrano un assestamento apparentemente placido dal punto di vista narrativo-espositivo. E la procedura di e sul corpo, effettivamente, muove il timone dello sviluppo filmico; basti pensare alla preparazione di The Ram ben si accosta, paradossalmente, alla sfiancante routine a cui sono sottoposte le danzatrici della compagnia di balletto in Black Swan. Il dualismo, la dicotomia tra due personalità all'insegna della medesima forma fisica (leggi: stesso corpo) non è esclusivamente quella del Cigno Bianco in alternativa a quello nero, spaventosa proiezione che prende il nome di Odile. È anche quella di una genitrice che non riesce ad equilibrare l'amore per la figlia e quello per la danza. Le colpe delle madri danzatrici ricadranno sulle loro creature. E, tornando al discorso corporale, cos'è il corpo, per Nina, se non l'unica forma possibile per giungere alla perfezione? È l'unico fattore che conta, a discapito delle teorie progressiste del maestro LeRoy. È per questo che le continue visioni della protagonista di sé stessa negli altri, sulla metro o nell'ombra, non sono che ossessivi e repulsivi stimoli a glorificare il proprio aspetto fisico e a renderlo immortale. E la gloria non tarderà ad arrivare: Nina riesce a trasformarsi in quel cigno nero, ma il suo non sarà un semplice apprendistato per diventare sensuale e misteriosa, come Odile. Sarà un microscopico e letale innesto di piccole parti di sé all'interno dell'universo che la circonda: le compagne di balletto, danzatrici decadute, dirompenti colleghe/rivali/amiche/amanti. Non è più Nina a diventare prima Odette e poi Odile, ma Odette e Odile a guadagnare le bordature più oscure dell'animo della giovane donna. E tutto si chiude nella lattiginosa presenza di un materasso che può ben poco. Se vogliamo essere scontati, si potrebbe riassumere così l'iter feroce a cui è vincolato, quasi come fosse immobile spettatore, il corpo martoriato della danzatrice newyorkese Nina. Non soltanto dalle punte.

domenica 6 febbraio 2011

Nuovi anni.

Another year - di M. Leigh

La grandezza di un film non va giudicata in base al numero di battute, di colpi di scena - per dirla banalmente, mi si conceda quest'espressione! - o di interruzioni che lo ostacolano nel suo sviluppo di creazione artistica propriamente detta. Another year non è soltanto un bel film in cui non succede nulla; potrà sembrare ardito, ma nell'ultima fatica di Mike Leigh l'ansia da avvenimento è pari a quella che si può riscontrare in film come Quarto Potere,Guerre Stellari o Inception. Questa modesta recensione non è volta a smentire che nel film ci siano numerosissimi momenti di noia; né ha la presunzione di definire la noia stessa, generata dai lunghi silenzi che le creature in pellicola riescono a gestire in maniera imbarazzata e ai limiti di un'ingenuità quasi infantile. In Another year sorge il problema della combustione insita nei caratteri dei suoi protagonisti, non proporzionata alla rendita esteriore del dolore stesso. Sono somatizzazioni a metà, negate, imbrigliate in una rete di conseguenze psicologicamente distruttibili (e distruttive). È falso sostenere che in due ore di film non accada nulla; le deflagrazioni sono numerosissime. E riguardano la morte e l'amore, le delusioni e l'amicizia. Ogni tema, ogni tristezza è trattata in maniera differente, quasi scandita da quel tempo che dà convenzionale titolo al film e dietro al quale ci si nasconde per evitare di interrogarsi su qualcosa di ulteriormente nocivo. Tom e Gerri (nomen omen), imperfetti nella loro bonaria funzione taumaturgica, fungono da croci di supporto per il loro gruppo di scalcinatissimi amici, manovrando tutto dall'alto con l'intenzione di non recare ulteriori sofferenze ai loro simili, rispettandone delicatezze e dignità. Il film si chiude sul vuoto emotivo di Mary, che si auto-impone un contegno non degno del suo animo; comportarsi in maniera diversa, però, la costringerebbe a non godere dei benefici amicali. Another year è un film splendido come i suoi protagonisti, sui quali svetta Lesley Manville nel ruolo di Mary, che fornisce una delle interpretazioni femminili più potenti del cinema di Mike Leigh: la sua segretaria innamorata degli uomini sbagliati sotto l'ottica etica e/o anagrafica è una donna di lacrime e di sangue.

di Giuseppe P.d.R.

giovedì 27 gennaio 2011

Dip Pàrpol

I love it and I need it
I bleed it yeah it's a wild hurricane
Alright hold tight
I am a Highway star


C'è chi sostiene che io dovrei giustificare quanto scrivo -non in termini morali, bensì in modo tecnico vero e proprio- , ma l'idea che questo sia uno spazio giustificato un po' mi deprime. Siete Highway star, oggi? Io forse sì. Sono stanco, e Idee su Tempi della Pittura mi stanno lentamente distruggendo.
Ho del sonno, ma dormo molto poco. Adesso, così, a motti subitanea, tra i tags per questo post (quanto sono inclish) inserisco bunga-bunga, così almeno ricevo un'impennata nelle visite.
News fondamentali di quest'ultimo periodo:
  • Ho tagliato i capelli in maniera imbarazzante e adesso sembro un parroco di campagna;
  • Ho azzeccato quasi tutte le candidature agli Oscar;
  • Anne Hathaway sarà Selina Kyle nel nuovo Batman di Nolan (esiste una giustizia, allora);
  • I may definitely assure I've a 8-years-old enzymes system.
Garanzie di sopravvivenza.

venerdì 21 gennaio 2011

Being Brigitte.

Essere Brigitte Bardot non rientra tra le cinquantacinque cose più gestibili da parte dell'essere umano. Lei stessa probabilmente ha avuto difficoltà enormi per mantenersi in auge lungo tutti questi anni. Cioè, I mean: stiamo parlando di una tale gnocca che dopo cinquant'anni viene ricordata come la regina delle strafighe pur essendo ancora viva e non potendo quindi giocare la carta del trapasso come cartina di tornasole per fama imperitura. Brigitte Bardot: foneticamente rimanda a mozzarella, a burro fuso. A reggiseni. Che importa se non fosse poi questa grande attrice? Nessuno ricorderà mai i suoi film -alcuni molto validi, peraltro. E porca miseria, stiamo parlando di colei alla quale è dedicata la più brutta canzone mai scritta, quell'aggregato di note inascoltabili che col nome di Brigitte è sulla bocca di tutti durante i più divertenti trenini di Capodanno. Sculettare a ritmo del bel nome della protagonista del Disprezzo.

No, non posterò foto di Brigitte. Tanto sapete tutti com'è fatta.

Levati la pistola e mettiti le mutande.

Qui si trovano soltanto preziosi affetti e curiose dedizioni. Se qualcuno dovesse sentirsi offeso, elogiato, amato, disprezzato o inumidito è gentilmente pregato di denunciarmi, o di tacere andando a comprare un pollo nella prima rosticceria utile.